HIPPONION – VIBO VALENTIA: UNA CITTA’ DELLA MAGNA GRECIA E IL SUO MUSEO ARCHEOLOGICO

L’antica Hipponion, che dal 1932 è stata ribattezzata con la denominazione latina di Vibo Valentia, è una delle città della Magna Grecia situate sul versante tirrenico della Calabria, le quali furono create per iniziativa delle grandi poleis, come SibariCrotone Locri Epizefiri, fondate lungo la costa ionica nelle prime fasi della colonizzazione greca dell’Italia meridionale, nell’VII secolo a.C.

Hipponion sorse un poco dopo, nel VII sec. a.C., quando Locri Epizefiri si assicurò il controllo di buona parte della Calabria meridionale fondando sul Tirreno le sub colonie di Medma (l’attuale Rosarno) e di Hipponion, che mantennero a lungo con Locri legami politici e una forte impronta culturale, evidente nei culti religiosi e in molti prodotti artistici realizzati a Hipponion su influsso locrese.

Hipponion attraversò complesse vicende politiche tra il IV e il II secolo a.C., con una fase di dominio della popolazione italica dei Brettii, che dalle aree interne della Calabria settentrionale si estesero anche assai più a Sud, lasciando a Hipponion importanti testimonianze, come ricchi depositi di monete argentee coniate dalla confederazione dei Brettii. Alle fasi del III sec. a.C. risolgono anche i resti imponenti della cinta muraria in blocchi squadrati di arenaria, il monumento più importante rimasto fino a noi della Hipponion greca e poi brettia.

Sotto la dominazione romana la città (che per breve tempo assunse la denominazione benaugurale di Valentia, anche più a lungo si affermò il nome di Vibo, trasformazione latina dell’antico nome greco) si sviluppò ulteriormente, favorita dalla posizione sulla via consolare Annia-Popilia e dalla vicinanza con il porto (l’attuale Vibo Marina), base navale fondamentale nelle guerre civili che portarono all’impero di Augusto, grazie alla vittoriosa attività di Agrippa collaboratore e poi genero di Ottaviano; Agrippa fu onorato a Vibo con un bellissimo ritratto marmoreo, rinvenuto nel 1972, uno dei pezzi più prestigiosi del locale Museo Archeologico, che dell’età romana ospita anche altre statue in marmo, un mosaico pavimentale con scene di pesca recuperato da una villa romana nei dintorni, mentre altri mosaici pavimentali figurati sono conservati negli edifici di età imperiale messi in luce nel quartiere urbano di S. Aloe, dove è in corso la creazione di un parco archeologico urbano.

Il Museo Archeologico Nazionale di Vibo Valentia è intitolato alla memoria di Vito Capialbi, importante studioso ottocentesco e collezionista delle antichità locali, di cui esposta nel museo la ricchissima raccolta numismatica, recentemente acquistata dallo Stato.

Il Museo, base operativa e di ricerca per gli scavi condotti in città dalla Soprintendenza fin dalla fine degli anni ’60, ha sede prestigiosa dal 1995 nel monumentale Castello, che conserva imponenti torri e cortine del Duecento e del Trecento e fu poi sede dei principi Pignatelli; è stato restaurato e rifunzionalizzato con impegnative opere dalla Soprintendenza ai Monumenti di Cosenza; l’allestimento espositivo è opera dell’archeologa Maria Teresa Iannelli, che tutt’ora lo dirige, e dall’architetto Enzo Ammendolia, entrmabi della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Calabria.

Si è già accennato alle principali opere di età romana esposte nel Museo, in cui sono peraltro più ampiamente presentate le testimonianze delle fasi greche di Hipponion. Ampi scavi nelle necropoli greche hanno messo in luce corredi funerari dal VI sec. a.C., con molti vasi importati da Corinto, al III sec. a.C., ma il reperto più significativo, che ha dato eccezionale rinomanza internazionale ad Hipponion e al suo Museo è una sottile laminetta in oro, lunga pochi centimetri, rinvenuta ripiegata più volte e deposta sul petto di una defunta nella prima metà del IV sec. a.C.. L’eccezionalità del reperto, di cui esistono solo una decina di esemplari analoghi in tutto il mondo greco, è data dalla lunga iscrizione incisa in minutissime lettere greche, su sedici fitte righe; il testo contienela formula magico-religiosa, e per questo tracciata su un materiale prezioso e incorruttibile come l’oro, che l’anima della defunta doveva imparare a pronunciare nel suo percorso attraverso il mondo oscuro degli Inferi per superare varie prove e raggiungere un eterna, luminosa serenità nei Campi Elisi riservati ai fedeli iniziati ai rituali attribuiti al mitico cantore Orfeo. Questo tipo di religiosità detta appunto Orfica si diffuse in tutto il mondo greco, e soprattutto in Magna Grecia, a partire dal V sec. a.C., e la lamina aurea di Hipponion ce ne conserva una delle versioni più complete e più antiche. Essa è attualmente esposta a Torino, nella Mostra dedicata al mito di Amore e Psiche, nelle sale di Grande Palazzo Barolo, fino al 16.06.2013. E’ un’occasione unica per l pubblico torinese di vedere, prima del suo ritorno nel grande Museo Nazionale di Vibo Valentia, un reperto assolutamente straordinario, carico di valori spirituali e religiosi particolarissimi e rari.

Altri aspetti del culto delle tradizionali divinità elleniche, come Demetra protettrice della fecondità della natura e della coltivazione del grano, è la figlia Persefone, che rapita da Hades signore dell’Oltretomba ne divenne sposa e regina degli Inferi, sono attestati a Hipponion dai rinvenimenti nei santuari del VI e V sec. a.C. ricchissimi depositi di offerte votive.

Un caso di particolare interesse è quello del deposito votivo in località Scrimbia, il cui scavo ha fornito materiali di notevole bellezza, e molti elementi del tutto peculiari per la ricostruzione del culto. Si trattò di uno dei santuari più importanti e più frequentati dai fedeli nell’Hipponion del VI e V sec. a.C., come indica l’abbondanza delle offerte, comprese moltissime di tenue valore economico (come vasetti miniaturistici) ma non meno significative come documento del legame dei fedeli con le varie divinità che qui erano oggetto di culto.

Le statuette in terracotta, numerosissime, recano immagini di divinità femminili o figure di fanciulle offerenti; i tipi sono per lo più affini a quelli rinvenuti a Locri nel santuario di persefone, ed è possibile che anche in questo santuario ipponiate fosse onorata Persefone, ma le presenze divine erano qui sicuramente molteplici: una tavoletta a rilievo reca l’immagine di una dea in trono che regge una lunga spiga stilizzata, che sembra identificabile con Demetra, mentre un’altra rappresenta sicuramente Artemide,con i tipici attributi dell’arco e del cerbiatto.

La peculiarità di maggior risalto del santuario di Scrimbia è data dall’eccezionale frequenza di offerte di manufatti in Bronzo, materiale di alto pregio che denota offerenti di alte capacità economiche, presumibilmente di rango sociale elevato. Alcuni dei vasi in bronzo furono importati da aree lontane, come i grandi bacili ad orlo perlato, di probabile produzione etrusca, e una brocca decorata prodotta in Laconia. Le offerte di specchi in bronzo e qualche esemplare di orecchini in argento ci riportano ad ambiti di culti femminili, che già sono sembrati dominanti nel santuario.

In rapporto a ciò, appaiono quindi quasi sorprendenti le numerose offerti di armi difensive in bronzo, spesso impreziosite da raffinate decorazioni, evidentemente dedicate da uomini che intendono affermare nel loro rapporto con il divino un rango sociale eminente nella propria comunità. Si tratta di grandi scudi, dai bordi decorati a sbalzo con motivi a treccia multipla, schinieri, elmi di vari tipi, da quello corinzio a quelli detti calcidesi, a quelli con paraguance a testa di ariete, uno dei quali rivestito da lamine in oro e in argento. Altri elmi hanno finissime figure incise, come tritoni, lotte tra animali (un cervo sbranato da due pantere), parti di cavalli rampanti, altri animali. Si tratta evidentemente di armi da parata, che attribuivano a chi le possedeva, e qui le esibiva come offerta nel santuario, un ruolo aristocratico o quasi eroico allusivo ai mitici “guerrieri vestiti di bronzo” protagonisti dei poemi omerici.

Il fatto che siano quindi affiancati nel santuario di Scrimbia offerte e culti di ambito femminile e di ambito maschile, non è privo di riscontri e analogie in altre città magno greche; la situazione più prossima, a Locri Epizeferi madrepatria di Hipponion è data dal santuario locrese di Persefone, in cui accanto a statuette prevalentemente legate a culti femminili vi sono anche offerte di connotazione maschile, con armi, sia pure in quantità assai minore che a Scrimbia. A Locri le iscrizioni di dedica di due elmi indicano che furono offerti proprio a Persefone, che sembra così assumere un ruolo di protettrice armata della polis, che appare insolito per la figlia di Demetra e sposa di Hades. A Hipponion le offerte di armi sono invece rivolte a una divinità maschile, come è attestato da due iscrizioni di dedica incise su uno schiniere e su un elmo, entrambe rivolte a un dio dall’appellativo di “Epimaco”, cioè “Colui che assale in battaglia”. E’ possibile che l’appellativo fosse usato per specificare una delle funzioni di un dio dai molto aspetti, come Hades (per il quale è attestato l’appellativo Epimaco, seppure in un’area lontana come l’Asia Minore e in momenti più recenti): a Scrimbia la coppia Persefone e Hades forse svolgeva dunzioni parallele di tutela per la componente femminile e per quella maschile della società ipponiate, soprattutto a livello dell’aristocrazia dominante tra VI e V sec. a C..

Per concludere, le immagini di una delle offerte ceramiche più significative a Scrimbia, una hydria (un vaso per raccogliere e trasportare acqua, di uso specificatamente femminile) qui decorata con una scena mitica che esalta le virtù militari degli eroi antichi, la partenza di Anfiarao per la guerra dei Sette contro Tebe, tema adatto a un’aristocrazia sensibile ai valori eroici dell’arte della guerra. E un vaso prodotto nelle officine ceramiche calcidesi, localizzate a Reggio nella seconda metà del VI sec. a.C..

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